Si parla poco di lutto perinatale, probabilmente per l’angoscia che il solo immaginarlo è in grado di evocare. La gravidanza, per sua natura, è accompagnata da paure ancestrali. Mentre vanno a formarsi gli organi vitali che consentiranno a questo organismo di poter vivere anche al di fuori del grembo materno, si affaccia nella mente dei genitori lo spettro della morte. Ci saranno malformazioni? Sarà sano? Sopravvivrà? È quindi normale che a fronte dell’incognita più destabilizzante che un essere umano possa portare dentro di sé (quella relativa all’esistenza della creatura che si genera) non si voglia incrementare il livello di ansia rapportandosi a questo tipo di esperienze.
Tuttavia è doveroso dire che la perdita di un figlio durante la gravidanza, al momento del parto o nel periodo immediatamente successivo sia un evento relativamente frequente.
Nel 2009 i bambini nati morti dopo la ventesima settimana di gravidanza sono stati tre milioni in tutto il mondo e il tasso di incidenza per aborto spontaneo e morte intrauterina è compreso tra il 15 e il 20% di tutte le gravidanze. Eppure solo a partire dagli anni ’80 si è cominciato a ritenere l’aborto un evento luttuoso e i ricercatori hanno iniziato a studiarne gli effetti in termini di dolore, ansia, depressione, vergogna e senso di colpa (Frost et al. 2007).
Parlarne risulta quindi un atto di presenza nei confronti di chi sta vivendo questo dramma (affinché possa non sentirsi solo) e per incoraggiare ad interfacciarsi con genitori in lutto attraverso modalità appropriate.
È infatti molto diffuso il tentativo di consolare con affermazioni quali:
“Ne avrai un altro”
“Non era neanche nato”
“Pensa alla figlia che ti è rimasta”
Frasi di questo tipo danneggiano perché delegittimano la sofferenza della perdita.
Uno dei motivi che induce a non ritenere significativa la perdita di un bambino che non è ancora nato è la difficoltà a comprendere che possa essersi già instaurata una relazione tra mamma e feto. In realtà la madre è naturalmente predisposta a sviluppare un legame di attaccamento fin dai primi momenti della gestazione - anche attraverso la produzione di ormoni specifici-, sarà infatti questo legame a consentire l’accudimento del figlio, garantendone la sopravvivenza.
Inoltre, tra la mamma e il suo bambino si verifica uno scambio cellulare (microchimerismo) già a partire dalla 4°/6° settimana di gestazione. Si tratta di un fenomeno per cui cellule del feto migrano nel corpo della madre e viceversa (è stato rilevato che la quantità di cellule che dal feto passa al corpo materno è maggiore della quantità di cellule che dalla madre migra al corpo del figlio e che le cellule fetali restano nel corpo della madre anche per decenni, probabilmente per tutta la vita).
Non da ultimo la perdita di un figlio è sia reale che simbolica. Si perde l’immaginario relativo al proprio ruolo di madre e al proprio essere madre di quello specifico bambino (ogni essere vivente è unico e non potrà mai essere sostituito da qualcun altro). Per questo è tanto importante potersi riferire alla persona che non c’è più attraverso il nome o dandogliene uno.
A tal proposito, soprattutto per gli operatori sanitari, sarà fondamentale non utilizzare termini quali “embrione” o “feto”, sono infatti espressioni che de-personalizzano; i genitori in lutto hanno invece bisogno di sentire la propria genitorialità anche nella perdita.
Sembra far parte della nostra cultura la tendenza a dire qualcosa per sollevare da una condizione di sofferenza, quando l’unico modo di rispettarla è riuscire a sintonizzarsi e a stare in quel dolore.
Un lutto non può essere consolato, non esistono frasi che possano sollevare dal dolore, ma esistono atteggiamenti, modalità e assetti comunicativi che veicolano, invece, una reale capacità di ascolto ed accoglienza.
Elaborare è un lavoro che richiede impegno, energie fisiche e psichiche e che può essere ostacolato (e addirittura bloccato) quando la risposta del proprio contesto di appartenenza non ne favorisce il processo; per questo è importante informarsi. La ricerca, in tal senso, ha individuato i seguenti fattori protettivi: l’offrire cura fin dal momento della diagnosi; la formazione del personale curante; la personalizzazione delle cure e la disponibilità di semplici risorse informative rese disponibili ai genitori rispetto a gruppi di auto mutuo aiuto, indicazioni di forum specifici di confronto, siti web all’interno dei quali poter trovare materiale, spunti di riflessione ecc…
In questo senso numerose informazioni e materiali possono essere trovati nel seguente sito:
www.ciaolapo.it
BIBLIOGRAFIA
Quataro e Grussu, Psicologia clinica perinatale (2018)
Ravaldi C., La morte in-attesa (2016)
Ravaldi C., Il sogno infranto (2016)
Zerbini E., Attraverso il lutto perinatale (2020)
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