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  • Miriam Morici

TESTIMONIANZA LUTTO PERINATALE

Adam

Vorrei dire tantissime cose, quando penso alla mia storia e al mio bambino.

Vorrei poter condividere la bellezza immensa del test positivo; l’amore infinito e la voglia irrefrenabile di conoscerlo, questo bimbo che sarebbe arrivato a cambiarmi la vita; l’emozione di vederlo durante le ecografie. Vorrei poter parlare della gravidanza, delle nausee, dell’epidurale.

E invece, di queste cose non posso parlare, perché il mio bambino non c’è. E’ arrivato il 12 maggio 2020, solo alla sua 22esima settimana nel ciclone che è stata la mia vita dallo scan del sesto mese. Vivevo in Ghana, in Africa, il mio (ora ex) marito viveva in Asia, e la mia famiglia in Italia. Il COVID era appena cominciato.

Allo scan che sarebbe dovuto essere quello più bello, scoprire il sesso del bimbo, cominciare veramente a sognare, tutto è andato a rotoli. La mia memoria di quello che è successo è imperfetta, vedo dei momenti come se fossero dei lampi di fotografie ma non ricordo l’evolversi degli eventi: il dottore mi dice che ci sono delle anomalie al cervello del mio bimbo; non sento più lo stomaco; il cuore mi batte fortissimo; la testa mi gira; mi aiutano ad alzarmi dal lettino e mi aiutano a vomitare nel lavabo; mi lasciano in sala d’attesa per ore cercando di capire se possono farmi dei test aggiuntivi; i test non sono disponibili in Ghana, bisogna farmi rientrare in Europa.

Ricordo che ho chiamato il mio ex dieci, quindici volte, e lui non rispondeva; che ho preso la macchina, ho guidato a casa; un poliziotto mi ha fermata ad un semaforo per un controllo; sono scoppiata a piangere; mi ha lasciata andare; sono arrivata a casa, ho chiamato degli amici, per organizzare chi mi avrebbe potuto tenere il gatto; ho organizzato i mobili, facendo foto a cosa vendere nel caso non fossi più tornata; ho chiamato la mia capa, per cercare un volo di ritorno nel pieno della pandemia quando c’erano solo voli speciali organizzati dalle ambasciate; lo shock di essere su un aereo la mattina dopo e delle hostess che guardano sorridenti il mio pancione e io che prego ogni dio di ogni religione che sia tutto un incubo, perché io non ho fatto niente di male, sono una persona buona, e queste cose non possono succedere alle persone buone.

Ricordo lo shock di scoprire che esistono la trisomia 13 e la trisomia 18, con le orribili e traumatizzanti immagini che si trovano online. Lo shock dei test aggiuntivi che non danno risposte certe, di sapere che la diagnosi per il mio bambino non è bianca e nera ma grigia – di un grigio scuro incompatibile con quella che è, per me, la Vita, con la V maiuscola; che le malformazioni al cervello sono gravissime; che il mio bimbo ha malformazioni anche al cuore. Lo shock di parlare di interruzione di gravidanza, di decidere che è la scelta giusta per me e la mia famiglia. Di decidere di chiamare questo bimbo, un maschietto, con un nome biblico pieno di significato, Adam – il primo uomo che sia mai esistito, in me, con me, e per me. E la desolazione, il vuoto, la fine del periodo che era stato il più bello della mia vita.

Come si affronta il lutto per la perdita di un bimbo, cosa mi ha aiutata?

Mi ha aiutata darmi il tempo di essere a pezzi, piangere disperatamente, e di dare spazio alla tragedia, perché perdere un figlio è veramente una tragedia; di interiorizzare che il dolore ed il lutto sono imperfetti e che giusto e sbagliato non esistono; di darmi la grazia di dirmi che se un giorno è più difficile di un altro, va bene cosi; di darmi il tempo di essere arrabbiata con il mondo e con le amiche che hanno avuto un bambino sano, e che ora sono mamme felici – non sono fiera di questo sentimento di gelosia profonda, ma mi do lo spazio di riconoscerlo; di avere compassione per me.

Mi ha aiutata onorare la memoria del mio bimbo; mi ha aiutata dedicargli delle poesie e delle canzoni; piantare un albero nel giardino dei miei genitori; farmi fare un anello, che porto sempre, con il suo nome inciso; accendere una candela in ogni luogo di culto dove vado.

Mi ha aiutata dirmi che questo bambino è esistito, è prezioso, che l’ho tenuto in grembo per 22 settimane, e che lo amerò per tutto il resto della mia vita.

Il lutto per la perdita di un bimbo si affronta giorno per giorno, lottando con le unghie e con i denti e con tutto quello che si ha.

Si affronta con la famiglia, che ti guarda con tristezza infinita perché questo bimbo non era solo il tuo sogno, era anche il loro. E il loro cuore, come il tuo, è completamente polverizzato.

Si affronta con gli amici, che non ti lasciano sola.

Si affronta con la comunità, cercando aiuto in gruppi di AMA, perché anche se quello che è successo non si augurerebbe neppure al proprio peggior nemico, purtroppo e per fortuna non si è soli.

Si affronta con il personale medico – gli infermieri, i dottori, i terapisti, perché loro hanno degli strumenti che possono aiutare.

Si affronta sapendo che nessuno, neanche le persone che ami e stimi di più possono dire la cosa giusta, perché la cosa giusta non esiste.

Si affronta chiedendo aiuto; cercando di capire di cosa si ha bisogno e imparando a comunicarlo con sincerità, perché le persone che ci amano hanno davvero buone intenzioni, ma a volte questo non basta.

Si affronta guardandosi allo specchio e prendendo il dolore di petto. Si affronta passo per passo, giorno dopo giorno.

Si affronta dandosi la pace di sapere che non c’è una ragione, è successo. Che non avresti mai voluto che succedesse a te, ma è successo e da questo non si può scappare. Ma anche, che ogni tanto, se vuoi sognare di essere in un mondo parallelo con il tuo bambino vivo tra le braccia, puoi sognarlo.

Si affronta sapendo che questo è un capitolo della tua vita, non la fine del libro. Che anche se sembra impossibile ora, un giorno starai meglio, poco a poco; e che un giorno starai bene; un giorno sarai di nuovo felice, e riderai e amerai ancora.


Ti e vi penso,

Benedetta


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